Campus Nepi: un’esperienza educativa che lascia il segno
Siamo da poco rientrati da tre giornate intense e indimenticabili, vissute nella cornice naturale di Nepi, nel cuore verde della provincia di Viterbo. Ogni volta che arriviamo qui, ci accoglie un silenzio denso di vita: un silenzio che non è vuoto, ma carico di possibilità, di ascolto, di respiro. In questo luogo lo sguardo si apre, il corpo si distende, e anche i pensieri sembrano trovare un ordine diverso, più naturale. Per i bambini e i ragazzi, già dai primi passi, il contatto con questo spazio ha rappresentato una soglia: quella che separa la tensione quotidiana dalla curiosità, l’adattamento forzato dalla libertà autentica. È stato questo il contesto in cui si è svolto il nostro camp educativo, rivolto a partecipanti dai sette ai diciassette anni, e in cui si è potuto realizzare qualcosa che va ben oltre l’intrattenimento o la formazione scolastica: un’esperienza di crescita vera, profonda, trasformativa.
A rendere possibile questa alchimia è stata, innanzitutto, la natura stessa, che si è rivelata la prima vera educatrice. La sua forza sta nel non avere bisogno di spiegazioni: con la sua presenza costante, con i suoi suoni, i suoi ritmi e i suoi abitanti — pony, alpaca, asini, perfino uno struzzo — ha saputo parlare direttamente ai ragazzi, risvegliando in loro attenzione, rispetto, tenerezza, meraviglia. Ogni incontro con un animale è stato unico: alcuni bambini hanno provato entusiasmo immediato, altri hanno dovuto superare una timidezza iniziale, altri ancora si sono avvicinati con cautela, in un processo che assomiglia molto all’apprendimento autentico, quello che nasce da dentro e che non ha bisogno di essere imposto. La natura, in fondo, non impone, non giudica e non spiega: invita, con pazienza e costanza, a rallentare, ad ascoltare, a osservare. E proprio questa qualità ha permesso ai partecipanti di ritrovare dentro di sé uno spazio di calma e presenza che spesso, nella vita quotidiana, è soffocato dal rumore, dai dispositivi digitali, dai ritmi frenetici.
Parallelamente al contesto naturale, l’intera esperienza è stata costruita su un approccio pedagogico che non propone “attività” nel senso tradizionale del termine, ma un percorso integrato in cui mente, corpo, emozioni e relazioni sono considerati inscindibili. Seguendo la visione educativa di EDUpar e della Fondazione Libera Schola, abbiamo dato grande valore all’osservazione, all’ascolto, al rispetto dei tempi personali. Ogni ragazzo è stato accolto nella sua interezza, senza aspettative prestazionali, senza standard da raggiungere, ma con l’intento di creare uno spazio in cui potesse sentirsi a proprio agio nel proprio essere. Questo approccio ha creato un clima sereno, dove l’esplorazione e la sperimentazione sono avvenute in modo naturale, senza che nessuno si sentisse sotto esame o sotto pressione. Non è stato richiesto di “fare bene”, ma piuttosto di essere presenti, di vivere con consapevolezza ciò che accadeva.
Uno dei momenti centrali del camp è stato il laboratorio dedicato alla comunicazione, intesa non solo come espressione verbale ma come presenza corporea, postura, sguardo, uso dello spazio e della voce. Il percorso di public speaking, proposto in forma laboratoriale, ha rivelato potenzialità sorprendenti: ragazzi che nei primi giorni parlavano a bassa voce o cercavano di rendersi invisibili hanno cominciato a occupare lo spazio con più sicurezza; altri, abituati a parlare senza ascoltare, hanno scoperto il valore della pausa e della relazione autentica. Il corpo, in questo processo, è diventato uno strumento espressivo, un canale di comunicazione, una risorsa da abitare e non da nascondere. Molti partecipanti, al termine del percorso, hanno dichiarato di sentirsi più sicuri, più in contatto con sé stessi, più capaci di parlare — non per impressionare, ma per condividere.

Accanto alla comunicazione, abbiamo dedicato spazi importanti alla conoscenza di sé, guidando i ragazzi in un percorso di esplorazione interiore che ha toccato valori personali, paure, desideri, punti di forza e fragilità. In momenti di riflessione pensati con cura, sono emersi pensieri profondi, racconti autentici, intuizioni che spesso nella quotidianità non trovano spazio per esprimersi. I più piccoli hanno sorpreso tutti con la loro capacità di nominare emozioni complesse in modo diretto e semplice; gli adolescenti, spesso alle prese con trasformazioni turbolente, hanno portato uno spessore emotivo che ha arricchito il gruppo intero. In un’età in cui tutto cambia rapidamente, trovare uno spazio sicuro per riconoscersi è un dono prezioso.
L’arte ha accompagnato l’intero percorso come filo conduttore silenzioso ma potente. Attraverso disegni, pittura, materiali naturali, i ragazzi hanno potuto esprimere il loro mondo interiore senza bisogno di parole. Non cercavamo la bellezza formale, ma la verità espressiva. E questa è emersa in forme irregolari, colori intensi, simboli personali. L’arte ha permesso a chi fa fatica a parlare di raccontarsi con le mani; ha aiutato chi è più impulsivo a trovare calma e concentrazione. In molti lavori si intravedeva un percorso, un’emozione, un nodo che si stava sciogliendo.
Una delle forze più evidenti di questa esperienza è stata la composizione del gruppo: bambini e ragazzi di età diverse, dai 7 ai 17 anni, hanno vissuto insieme senza divisioni, senza ruoli precostituiti. I più grandi si sono naturalmente messi al servizio, offrendo ascolto e guida. I più piccoli si sono sentiti inclusi, osservando e imitando. Chi stava nel mezzo ha potuto sperimentare entrambi i ruoli, a seconda delle situazioni. Questo scambio intergenerazionale ha creato un senso di comunità raro e prezioso, che nella scuola tradizionale, divisa per età e livelli, è praticamente impossibile da vivere.
E poi c’è stato il gioco libero: momento che può apparire secondario, ma che invece è stato centrale. Lontano da programmi, orari e direttive, i ragazzi hanno riscoperto il piacere di creare da sé le proprie regole, di organizzare attività spontanee, di negoziare, di risolvere conflitti. Il gioco libero ha permesso di sperimentare una forma di autonomia autentica, sostenuta da una supervisione discreta ma attenta. Non serviva chiedere permesso per ogni cosa: bastava ascoltare sé stessi, gli altri e il contesto.
Uno dei momenti più intensi è stato il cerchio attorno al falò del sabato sera. Seduti insieme, nel buio rischiarato dalla fiamma, abbiamo condiviso pensieri, emozioni, silenzi. È stato un rito collettivo, una soglia simbolica che ha rappresentato per molti un passaggio di crescita. Non era una semplice attività serale, ma un’esperienza emotiva che ha toccato corde profonde e che, probabilmente, accompagnerà ciascuno a lungo.
Per tanti ragazzi, questi tre giorni hanno rappresentato il primo vero distacco dalla routine familiare. Dormire fuori casa, gestire i propri tempi, adattarsi a un contesto nuovo, ha richiesto energia e coraggio, ma ha anche regalato consapevolezza e fiducia. Lo staff EDUpar e della Fondazione Libera Schola ha garantito un ambiente accogliente, sicuro e rispettoso, dove l’indipendenza non è stata imposta, ma accompagnata.
Non è un caso, quindi, che proprio Nepi ospiterà la prossima sessione di esami EDUpar il 13 maggio. Tornare in questo luogo per affrontare una prova importante significa dare continuità a un percorso, vivere l’esame non come un ostacolo, ma come un naturale passaggio di crescita.
Mentre custodiamo nel cuore i volti, le voci e i gesti di questi giorni, stiamo già immaginando una possibile Spring Edition: un’occasione per ritrovarsi, per accogliere nuove famiglie, per continuare a seminare libertà, consapevolezza, comunità. Perché Nepi non è solo un luogo geografico: è un luogo educativo dell’anima. E siamo certi che torneremo a viverlo, insieme.
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